Oltre il contemporaneo: il rapporto tra l'Uomo e il Mondo Vegetale secondo il futurismo cosmico e naturalistico di Matteo Cibic
Alla Fondazione Luigi Rovati si indaga con Matteo Cibic sulla natura e sulla funzione del mondo vegetale in ipotetiche utopie future. In un mondo dove la presenza invadente e totalizzante di una AI determinata dall'antropocene giunta al suo parossismo produce cupe visioni distopiche di una tecnica potenzialmente capace di marginalizzare completamente la funzione dell'Uomo sulla terra, il percorso filosofico-artistico del giovane artista parmense si pone in controtendenza rispetto ai pessimismi oggi tanto in voga: partendo dalla constatazione della palese insostenibilità di un modello produttivo non in linea con la circolarità metatemporale dei cicli cosmici, afferma nella sua opera un futurismo naturalistico e utopico in cui si possa realizzare il compromesso desiderabile e necessario tra Uomo, entità tecnica e Natura.
La dinamica dialettica attraverso la quale giunge a questa soluzione è ben rappresentato dalle tre fasi filosofiche esposte nel Padiglione della Fondazione Rovati. La prima, quella di Dermapoliesis (2017), proietta le nuove forme vegetali tecno-organiche in un contesto produttivo dove la presenza e la funzione umana sono ridotte ai minimi livelli; le piante del futuro, queste entità di produzione autorigeneranti, coscienti e dotate di sfera emotiva, operano principalmente per sé stesse e per il mondo che le circonda, producendo essenze e profumi che ottemperano a un obiettivo di nutrimento cosmico: siamo a una visione non antropocentrica ma certamente produttivistica dell'oggetto in questione. Nella seconda fase, quella che possiamo definire l'antitesi della prima e che si realizza in Lakapoliesis, il mondo vegetale viene analizzato secondo una prospettiva che evidenzia la relatività cronologica del rapporto Uomo-Natura; le opere esposte (sculture arboree colorate) trasmettono in modo evidente lo scorrere lento e placido di un tempo spirituale e razionale in pieno contrasto con il tempo biologico umano e in particolare con i tempi quantitativi e subrazionali della febbre materialista e produttivista del capitalismo: la pianta viene contemplata come oggetto integrato in un cosmo organico e armonioso dove la dinamica di trasformazione dell'energia è immobile e perpetua. Nei Fragmenta, bassorilievi in polvere di marmo esposti alle pareti, si realizza la terza fase della dialettica, quella della sintesi, in cui le due fasi precedenti, attraverso la negazione determinata dall'incessante e perpetuo movimento universale, si fondono in una soluzione nuova: la trasformazione auspicata è quella del compromesso tra antropocene e Natura, in cui le piante futuristiche vengono inserite nel contesto urbano e umano secondo un criterio costruttivo e armonioso. I vegetali dei Fragmenta rispondono alla necessità di una civiltà che, nonostante non riesca ad abbandonare un modo di produzione distruttivo e obsoleto, sente la necessità di ritrovare un rapporto equo e solidale con le altre forme di vita: lo scenario rappresentato non apre solamente orizzonti caratterizzati dall'assenza di contraddizioni antitetiche tra gli uomini e i vegetali e dal mutuo riconoscimento tra essi, ma disegna un futuro in cui queste nuove entità possano abbellire e rendere maggiormente piacevoli i nostri spazi.
È palese che i pensieri sopra esposti conducano al riconoscimento della presenza di un protagonista principale dell'esposizione: si tratta della ciclicità imperitura e costante dell'energia, che nonostante si trasformi perpetuamente senza essere mai uguale a sé stessa è sempre la medesima e identica sostanza che costituisce ogni oggetto della realtà: le due sculture in alluminio riciclato esposte nel giardino sono un inno alla materia vivente e all'eterno ritorno di tutte le cose, la cui serena constatazione costituirebbe per il genere umano non solo la consapevolezza della necessità di stabilire in terra un mondo in armonia con le leggi del cielo, ma anche e soprattutto il superamento del terrore che ci incute la fine della nostra esistenza: essendo l'energia che dà sostanza a tutte le forme universali permeata dalla nostra medesima coscienza ed emotività, cadono nel vuoto tutte le ideologie individualistiche e senili che attribuiscono carattere negativo all'esperienza della morte. Compito dell'arte dovrebbe essere proprio quello di rendere osservabile al soggetto, attraverso l'atto di creazione, ciò che l'occhio biologico dell'essere umano non potrebbe altrimenti vedere.
Tommaso Carboni